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Interviste

Giuliana Gadola moglie del capitano Filippo Maria Beltrami

Vita 01.01.1915 - 01.07.2005

Giuliana Gadola nasce a Milano nel 1 gennaio del 1915 e inizia la sua carriera scolastica che concluderà quando arriverà in terza liceo classico “Manzoni”, di Milano.
In età più adulta, nel 1936, si sposa con Filippo Beltrami da cui ha tre figli e poi, dopo essere rimasta vedova, si risposa con Guido Veneziani, partigiano conosciuto in guerra, da cui ha un’altra figlia.

Dopo la Resistenza si impegna nel scrivere e pubblicare libri tra cui:
-un libro di ed. civica;
-un libro dedicato a suo marito, “Il Capitano”;
-un libro che tratta il problema dell’aborto, dove dichiara di essere favorevole, “Da Erode a Pilato”;
-un libro sulla storia delle partigiane, scritto con Mirella Allasio, “Le volontarie della libertà”;
-un libro di poesie, “Lungo amore”;
si impegna, poi, anche nel fare parecchie traduzioni dall’inglese.

Partecipa anche alla vita pubblica impegnandosi, negli ultimi trent’anni, dell’associazione A.N.P.I. e costituendo vari convegni sul ruolo delle donne nella Resistenza.

Intervista a Giuliana Gadola moglie del capitano Filippo Maria Beltrami

“Molti dei partecipanti alla costituente, cioè all’assemblea che ha preparato il testo della Costituzione, erano ex resistenti, ex partigiani, ma non tutti, c’erano anche degli anti-fascisti che erano stati nascosti o all’estero.
Poi c’erano persone di vario tipo, tutti comunque anti-fascisti perché quello che conveniva ed era urgente era dare alla Costituzione un aspetto democratico.
L’essenziale era dare alla Costituzione, come base, i valori dell’anti-fascismo e della resistenza, che erano la partecipazione popolare, perché alla resistenza hanno partecipato in grande stile le masse popolari, non era fatta solo dai partigiani, ma da tutti quelli che li aiutavano.
Un altro valore importante era la libertà, che durante il fascismo era la libertà che durante il fascismo era stata completamente soppressa [...]. Da ragazzi sapevamo che certe cose non si potevano dire, che non si poteva parlare male del Duce, causa esser cacciati via da scuola. Non sapevo che non c’era la libertà di sciopero, era stata tolta ed è una delle cose ripristinate dai partigiani [...]”.
“La libertà era uno dei temi principali della resistenza, i giovani l’avevano in mente, era la cosa per la quale combattevano, volevano essere liberi in un paese libero. La guerra è stata imposta dal fascismo in Italia, non è stata voluta dal popolo [...]”.
“I principi democratici erano già vissuti durante la resistenza nelle bande partigiane, perché il comandante era sempre scelto dai soldati e anche la gerarchia era più attenuata.
Non è detto che tutti partigiani appartenessero allo stesso schieramento politico, alle volte erano li a combattere per la libertà, la democrazia e la giustizia [...]”.
“Quando hanno fatto le repubbliche indipendenti, come quella dell’Ossola, si è fatta una prova di governo democratico. Molte delle cose vissute durante le repubbliche sono poi entrate a far parte della Costituzione Repubblicane, erano prove di quello che poteva essere uno stato libero, costituzionale.
La differenza fra partigiani, fascisti e tedeschi è che gli ultimi torturavano, i partigiani no.
Una delle torture meno conosciute era far mangiare il sale ai detenuti, che portava a seri dolori di pancia. Più conosciute erano quelle di strappare le unghie o dare scosse elettriche.
Nel reparto ospedaliero delle carceri si trovavano dei medici umani che curavano bene anche se alle dipendenze dei fascisti, curavano con coscienza anche i partigiani; poi c’erano suore che aiutavano i partigiani a scappare [...]”.
“Dopo la guerra c’era la gioia di vedere un vigile per la strada, avere di nuovo fiducia nella forza pubblica, è stato un grande cambiamento e un grande sollievo.
Era un periodo in cui c’era molta solidarietà reciproca.
C’è stato un grande entusiasmo per la liberazione, si ballava per strade, piazze e cortili [...]”.
“L’economia è cambiata naturalmente in meglio, in tempo fascista era disastrosa anche se non si diceva, c’era l’abitudine di non mettere sui giornali le cose brutte.
La guerra è stata un disastro per l’economia italiana e di tutto il mondo [...]”.
“La vita di tutti i giorni durante la guerra era molto scomoda perché i viveri erano tesserati, procurarsi da mangiare era difficilissimo fuori dalle tessere, le tessere davano pochissimo. Il resto lo si doveva comprare a borsa nera.
Di notte non si potevano tenere le finestre aperte con la luce accesa, c’era l’oscuramento, e anche girare dopo le otto di sera era proibito [...]”.
“La liberazione è stata in Aprile, io sono venuta giù a Settembre e in quel periodo le cose erano già un po’ sistemate. Si faceva comunque fatica, c’era la distribuzione dei viveri americani. Mi ricordo ancora che davano queste scatolette di carne americana da mangiare…sembrava una manna! Eravamo felici! Mandavano anche dei pacchi dono alle famiglie, soprattutto a chi aveva dei figli. Però anche per questo bisognava conoscere qualcuno, non era così facile [...]”.

D: “Ci racconti di suo marito, il capitano Filippo Maria Beltrami.” “Il capitan Beltrami era un tipo un po’ particolare, perché lui in realtà non faceva il militare, lui era un architetto. Però era stato richiamato sotto le armi come tutti, come ufficiale di complemento. A quell’epoca era stato sottotenente poi è diventato tenente. Lui, in principio, ha comunque fatto di tutto per evitare la guerra, per evitare la chiamata alle armi. Perché era contrario, odiava le armi.
Pensate che ha cercato di corrompere un soldato dell’ufficio leva, il quale sotto pagamento, piegava la pratica e la metteva sotto la pila di documenti. Per qualche mese Beltrami non veniva chiamato. Poi veniva richiamato, andava la, pagava di nuovo e la pratica tornava sotto la pila.
Mi ricordo che appena è avvenuta la caduta del fascismo lui mi ha subito detto: “No, adesso io ci voglio andare, adesso io voglio far parte dell’esercito italiano”. Lui era di temperamento antifascista. Quindi la guerra fascista non gli piaceva proprio, quando si trattò di una guerra italiana, come diceva lui, allora è andato a fare il militare. Però, grazie a Dio, evitò di essere mandato in Grecia. Il suo contingente era stato mandato nella penisola balcanica ma lui, con il sistema che ho già spiegato prima era riuscito ad evitarlo.
In quel periodo era quindi qui a Milano, prestava servizio presso la caserma Baggio. Uno dei suoi lavori, per esempio, era quello di andare a tirare fuori le vittime dai bombardamenti. In quei tempi cerano infatti molti bombardamenti e quindi mandavano i militari per aiutare questa povera gente. Mi ricorderò sempre che un giorno mi ha detto che aveva tirato fuori una bambina che aveva l’età di nostra figlia e che le aveva fatto una tenerezza incredibile pensando che la poverina non aveva più i genitori, che erano morti schiacciati sotto le macerie.
Poi dopo è arrivato l’8 Settembre, prima si parlava del 25 Luglio la caduta del fascismo.
Dopo la caduta del fascismo è stato un periodo un po’ così, non si capiva bene da che parte stesse l‘Italia. L’8 Settembre c’è stato l’armistizio e così i tedeschi hanno preso possesso dell’Italia. Gran parte degli Italiani sono scappati e si sono nascosti,non volevano consegnarsi ai tedeschi. Perché i tedeschi non fidandosi di arruolare gli italiani li mandavano a lavorare al posto dei loro uomini in modo da poter mandare loro nell’esercito. Molti italiani sono quindi scappati e andati in montagna. Così è successo a mio marito. Lui, il giorno dell’8 Settembre, è scappato dalla caserma ed è venuto a casa, in campagna, a Cireggio. Lì stava in attesa degli avvenimenti però non si consegnava ai tedeschi.
Venivano su dei ragazzi chiedendogli aiuto, noi eravamo visti un po’ come i signori del paese. Venivano a chiedergli “adesso cosa dobbiamo fare, cosa ci dite voi che siete gente più istruita?” Lui consigliava a tutti i ragazzi di non presentarsi , di nascondersi in montagna. E così sono nate le prime bande partigiane. La nostra è stata una delle prime. Io ho scritto un libro su queste cose. Ne ho scritto anche un altro il nuovo Begazzi, che è dell’istituto storico della Resistenza di Novara, si intitola “Il signore dei ribelli”. Secondo me è il libro più bello e completo che riguarda il capitan Beltrami…
Ha fatto varie azioni finché in una battaglia campale, circondato dai tedeschi che sparavano addirittura con i cannoni, è morto. E’ morto con altri dodici partigiani [...]. Era un tipo un po’ particolare, aveva un grande ascendente sui soldati. Infatti è diventato un personaggio mitico, forse di più di quello che era davvero. Si diceva che aveva un esercito che non finiva più, che si facevano cose incredibili. Persino di me hanno detto cose che non centravano niente. Hanno detto che quando morì mio marito presi il comando della banda. Ma non era vero! Io purtroppo avevo i bambini ed ero dovuta scappare, avevano detto che ero bravissima, che in una volta sola, con una sventagliata di mitra, avevo fatto fuori quattro tedeschi [...]. Tutte cose inventate! Ma in quell’epoca le leggende correvano era molto difficile sapere la verità! Perché come succede in tempi drammatici le cose corrono di bocca in bocca. Quindi mio marito che era un uomo molto allegro, autoritario, di polso,amato dai suoi soldati, era diventato mitico. Scherzava, aveva un grande senso dell’umorismo ma quando era il momento sapeva avere polso. Riusciva comandare e organizzare le battaglie. L’ultima è stata sfortunata, pare per un tradimento, anche se c’era poco da tradire. Lo sapevano tutti dov’eravamo noi. Se scendevi a Omegna e dicevi di voler parlare con capitan Beltrami ti dicevano di prendere quella strada di camminare per due ore e lo avrebbero trovato. Non avevamo nemmeno i nomi di battaglia, era inutile! Io però avevo un nome di battaglia era “la Signora” [...]. La Signora ero io per antonomasia.. questo perché i contadini dicevano che noi eravamo i signori. Mi faceva ridere perché con i partigiani c’era un rapporto molto fraterno, non da signore a sottoposto! Ci davamo del tu, ridavamo e scherzavamo [...]. La sera i ragazzi venivano a trovarmi, magari quando mio marito era via. Capitavano due o tre che non erano andati a fare l’azione e mi dicevano: “Signora, siamo venuti a farle compagnia” mi raccontavano le storie delle spose e mi chiedevano consiglio, come se fossi stata la mamma di tutti. In realtà non avevo neanche trent’anni e quindi ero una mamma un po’ giovane. Mi chiedevano “E’ meglio se la sposo o se non la sposo? E’ forse meglio che rimanga vedova? Perché se io morissi…” e anche “Non vorrei che fosse in cinta…”
“Ma se è in cinta sposala, se non lo è aspetta che sia finita la guerra, vi sposerete dopo”, gli dicevo io. Si confidavano anche riguardo le loro malattie “Io ho questo, io ho quello…”.
Comunque il capitan Beltrami è un personaggio che se cominci a leggere di lui ti affascina.
Nella zona c’era anche un altro mitico comandante: Moscatelli. Lui però aveva un altro tipo di ascendente, era un vero uomo militare,duro, un forte comandante ma non aveva fascino personale. Non era una persona con cui si poteva chiacchierare e lasciarsi andare [...].
I ragazzi volevano bene a mio marito. Mi ricordo di un ragazzo di sedici anni che chiamavano “Tamburino”, anche se non aveva nessun tamburino. In genere mio marito non prendeva ragazzi troppo giovani perché diceva che era troppo pericoloso. C’era però uno dei famiglia Paglietta, la famosa famiglia comunista, che è morto con lui molto giovane avrà avuto diciassette anni!
Lui, grazie a Dio, è morto in battaglia e non è stato preso dai tedeschi, altrimenti chissà cosa gli avrebbero fatto, non posso pensarci! Anche essere fucilati era peggio che morire in battaglia. In battaglia non te ne accorgevi neanche, se si era fucilati c’era invece l’attesa.
Io me lo prospettavo ogni tanto… se mi prendono chissà cosa mi fanno, mi mettono in galera, mi fucilano, mi torturano per farmi parlare… ma cosa posso dire io? Le sanno anche loro le cose che so io.. Però volevano sapere i nomi, i collegamenti con Milano, si, perché io tenevo i collegamenti con Milano,col commando generale, anche se non sono scesa molte volte, solo due o tre.”
D: “Suo marito ha avuto problemi personali col fascismo?” “No, assolutamente. Lui non ha mai fatto la tessera. Non aveva problemi personali col fascismo, tant’è vero che ha fatto come architetto un concorso costruire l’aringa in piazza Duomo, dove doveva parlare Mussolini. Ma lui era senza lavoro e l’ha fatto. Non aveva problemi personali però lui odiava i fascisti perché vedeva che stavano portando l’Italia alla rovina e perché avevano tolto completamente la libertà. Se per esempio cercavi un libro di Marx non lo trovavi.
Sul leggere la censura era terribile. Non volevano persino che si parlasse inglese. A me i fascisti mi avevano accusata di sapere parlare bene l’inglese, questo era già un delitto per loro. La lingua del nemico! Cosa ne sapevo io del nemico che quando mi hanno insegnato quella lingua avevo otto o nove anni. Poi, viceversa, è stata l’ unica cosa che mi è servita dopo quando dovevo trovare lavoro. Infatti ho fatto delle traduzioni dall’inglese e non ho fatto fatica a trovare un posto [...].
Il fascismo ha avuto i suoi oppositori sin dalla sua nascita. Alcuni sono stati ammazzati come Matteotti, i fratelli Rosselli e altri. Venivano quasi sempre uccisi a tradimento perché era difficile provare che avevano fatto qualcosa di antipatriottico. Li ammazzavano solo per delle loro idee! Gli sparavano per strada, con i mitra. Tanti li mettevano in prigionia o ai confini, il confine rigurgitava, era pieno di gente nelle isole…”
D: “Si ricorda qualche fatto particolare?” “Mi ricordo che a scuola dovevo fare un tema sul 28 Ottobre e sulla marcia su Roma. Quel tema io non l’ho fatto, ho consegnato il foglio in bianco. Il professore mi ha dato 0 perché era fascista. Erano rari i professori fascisti, almeno i miei erano quasi tutti antifascisti. Quello però era un fascista. Siccome io ero brava in italiano era stupefacente che avessi uno zero.
Mi ha chiesto: “Ma perché hai consegnato il foglio in bianco?”, risposi: “Io di queste cose non ne so niente!”. Lui mi disse: “Figurati tutti sanno cos’è stato il 28 Ottobre!”
Morale lo zero fece media. Non ero un granché a scuola ero brava solo in italiano e latino. Mancavo completamente di ambizione, non me ne importava niente. Intanto per una donna non era di nessuna importanza. I miei genitori mi dicevano: “studi se vuoi studiare se non vuoi studiare non studi!”. Nessuno mi sgridava se prendevo un brutto voto o mi faceva un regalino se ne prendevo uno bello. “Peggio per te, se non vai bene smetterai” mi dicevano. Così a me bastava essere promossa.”
Libri – scuola - fascismo “Non so bene che libri si usassero alle elementari. Io infatti, le ho fatte a casa con un maestro che veniva due o tre volte alla settimana. La mamma diceva che ai bambini faceva bene stare fuori all’aria aperta, dovevamo fare passeggiate e non stare chiusi a scuola. Ho fatto però le medie, avevo dei professori antifascisti e i libri non erano antifascisti ma neanche troppo fascisti.
L’unica materia assolutamente fascista era educazione civica. Quella si! Si studiavano le regole del fascio, il corporativismo e anche l’esame di maturità bisognava passarlo in quella materia. Era un libricino piccolo e anche se non ci credevo perché erano tutte stupidaggini, non ho fatto fatica ad impararlo.
Ricordo il professore di Greco, che ho scoperto solo dopo essere antifascista. Era bravissimo, si chiamava Moratone, ha scritto anche una grammatica. Lui ci elogiava molto una poesia di Alceo in cui si vantava di essere scappato durante una battaglia. Diceva : - Uno dei Sai (che erano i nemici) troverà il mio scudo che io l’ho lasciato quando sono fuggito- a quell’epoca invece le madri spartane dicevano ai propri figli quando gli davano lo scudo : “O torni con questo o torni sopra di questo”. Lo scudo non si doveva mai perdere invece uno per alleggerirsi lo buttava via e scappava.
La lezione di questo professore in fondo era una lezione di antifascismo. Infatti secondo il fascismo si doveva morire per la patria, era il massimo degli onori ma invece l’antifascismo diceva che se si poteva evitare di morire sarebbe stato meglio. Poi naturalmente noi partigiani eravamo disposti anche a morire per la libertà. Però era una scelta non era una cosa imposta.”
Le mie paure… “Quando eravamo a casa a Cireggio mio marito aveva la banda in montagna e stava un po’ su e un po’ giù a casa. Una sera erano andati a prendere delle armi e volevano nasconderle in casa prima che venissero i partigiani a prenderle per portarle in montagna. Non si poteva però tenerle in vista perché se ci fosse stata un’ispezione i soldati tedeschi le avrebbero trovate. Allora avevano fatto una botola in cantina e li sotto si nascondevano le armi. Io li dovevo aiutare. Dovevo stare nella botola , prendere le armi e metterle via, poi dovevo chiudere la botola. Andavano via facevano un altro carico e poi tornavano. Io avevo una grande paura in quel periodo!! Ero li sola chiusa nella botola , non li sentivo arrivare e pensavo che se li avessero presi io sarei rimasta la sotto e sarei morta li sotto senza che nessuno mi venisse a salvare. Poi sentivo i passi , tiravano su la botola, mi davano quattro o cinque fucili e io li mettevo dentro. Alla mattina poi li tiravano fuori per portarli in montagna.
Le attese erano la cosa più brutta, anche quando mio marito era in azione ed io ero a casa. Lui non arrivava mai. Poi finalmente arrivavano ma mentre aspettavo e il rumore delle macchine che passavano e avevo paura che fossero i fascisti.
Quando sei in azione è diverso, anch’io sono stata ferita una volta, è diverso sei presa dagli avvenimenti e non hai tempo di pensare. Il tempo invece quando sei li che aspetti non passa mai!”
C’era molta solidarietà… “Beh, non è proprio stata una situazione piacevole. Però devo dire, malgrado tutto, che, se devo tirare le somme è stato un periodo bello. Eravamo molto amici e legati tra di noi, c’era molta solidarietà. Si viveva dovendo dedicarsi solamente in ciò che si credeva cioè dando alla propria vita un senso. Essere tutti amici, pronti a morire uno per l’altro, tutti amici di qualunque categoria sociale, di qualunque età, di qualunque sesso…eravamo tutti come fratelli. E’ una sensazione bellissima che non ho mai più ritrovato. Era bello anche pensare che si viveva per uno scopo e che era uno scopo importante, era il benessere di tutto il paese. Lo si faceva anche per i nostri figli, i figli di tutti. Si voleva un avvenire diverso, più felice, più libero. Ricordo come era bello stare tutti insieme alla sera, si cantava…. Era bellissimo… Naturalmente c’erano anche dei momenti tragici in cui moriva qualcuno.”
Le cose sono cambiate… “I politici in quel periodo erano molto più motivati di adesso… prima c’erano degli ideali, oggi giorno interessa molto avere “la poltrona”.
Quando ricevevi degli ordini dal commando di Milano, sapevi che li ricevevi da gente che stava rischiando come rischiavi tu, per gli stessi scopi e allora si accettavano molto volentieri.
Anche le moltissime donne che io ho intervistato per i miei libri dicevano tutte che comunque è stato un periodo bello, perché facevano qualcosa di utile e si sentivano uguali agli uomini . non erano più solo chiuse in casa……
Ricordo anch’io la prima volta che avevano recuperato delle sigarette, ne avevano distribuite due o tre per uno e anche a me hanno dato la mia razione, è stata una commozione “Ah, ma allora sono un soldato anch’io?!?” Mi sembrava di essere salita di grado, non essere solo li a fare da mangiare….
La liberazione è stata un periodo di grande felicità. Non per me perché io avevo perso mio marito. Era molto triste perché arrivare alla liberazione d’Italia senza di lui. Ero però soddisfatta perché almeno era morto per qualche cosa… se avessimo perso mi sarei strappata i capelli!
Adesso quando vedo che le cose vanno male, penso che forse i nostri morti hanno perso la vita per niente! Abbiamo però avuto trenta, quarant’anni di pace…”

Giuliana Gadola

Primo incontro: V. Beltrami - Vita V. Beltrami - Intervista