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Interviste

Vittorio Beltrami

Vita 06.06.1926 - 29.11.2012

Vittorio Beltrami nasce ad Omegna (VB) il 6 giugno 1926.
Dice di essere "diventato uomo" a soli 18 anni, grazie all'esperienza non piacevole della Resistenza, che lo vede "schierato" con i fratelli Di Dio.
Dopo aver lavorato qualche anno alla metallurgica "Cobianchi" di Omegna come impiegato, inizia per lui la carriera di geometra, che lo vedrà impegnato per ben trentadue anni.
Nel 1953 si sposa con la signora Carla Chiavenuto. In quegli stessi anni '50, viene eletto consigliere comunale ad Omegna (ca. 1951-1955).
In seguito diventa consigliere provinciale per dieci anni, dal 1964 al 1974 e poi assessore per due anni. Per il suo "prestigio politico", e l’esperienza maturata passa poi in regione, diventando Presidente della Commissione Sanitaria Assistenza, per quindici anni, e subito dopo diventa Presidente della Regione Piemonte, per cinque anni. Tutto avviene dal 1970 al 1995, anche se i suoi "anni politici" effettivi sono ventitré, poiché sarà assente due anni per motivi suddetti.
Dai primi anni 2000 è presidente della "Casa della Resistenza" (la più grande di tutte quelle esistenti in Italia ed in Europa, situata nel Parco della Memoria e della Pace di Fondotoce, Verbania), nata da una legge proposta dallo stesso sig. Beltrami, per ricordare gli ebrei uccisi nel novarese, ma anche perché la memoria di questa tragedia favorisca una forte e attiva speranza di pace.

Intervista a Vittorio Beltrami (partigiano)

“Io sono un pensionato ma passo il mio tempo a seguire la Casa della Resistenza di Fondotoce, che è la più grande che esista in Italia, circa 1600 mq. Attraverso questa casa abbiamo assimilato parecchie cose, come ad esempio, da una Associazione romana, abbiamo avuto in dono un’enorme biblioteca. Vicino a questa casa c’è un’area monumentale coi nomi dei 1250 caduti dell’antica Provincia di Novara, che comprendeva anche il Verbano Cusio Ossola.
Vestiti da opera “balilla”, perché in quel periodo c’era il “sabato fascista” a cui bisognava partecipare; il 12 giugno del 1940 ci hanno mandato a Novara e la radio ha comunicato l’entrata in guerra che doveva durare sì e no un paio di mesi, doveva essere una guerra lampo e invece è durata cinque anni, per noi italiani [...], dico che si sa come iniziano le guerre, ma non si sa come finiscono e dico che il secolo scorso lascia alle spalle 250 guerre.
All’inizio della guerra mi ricordo che c’erano persone che erano andate in montagna o in pianura o nei sotterranei per sottrarsi alla dittatura e quelli che sono andati in montagna l’hanno fatto per tentare di ripristinare quelle condizioni di vita e di democrazia che purtroppo il fascismo aveva negato. Molti di noi sono andati perché erano chiamati alle armi per prestare servizio militare alla Repubblica Sociale di Salò, mentre altri sono andati perché hanno creduto che ogni buon cittadino aveva dei compiti, aveva un ruolo salvistico nei confronti della civiltà e delle famiglie e quindi non erano obbligati a presentarsi alla Repubblica di Salò e sono andati nella Resistenza.
Io di fatto non appartenevo alla cerchia di coloro che si allontanavano dalla famiglia, perché erano chiamati al servizio militare, io non ero chiamato al servizio militare, avevo appena 18 anni [...], devo dire che l’impatto non è stato facile perché noi non avevamo alcuna esperienza militare, sì, forse avevo avuto per le mani qualche moschetto, ma quei moschetti che ti davano quando facevi l’avanguardista nelle manifestazioni e che non valevano niente. Di conseguenza di esperienza non ne avevamo, e siamo stati messi davanti a momenti di rigidità e di crudeltà umana, perché ogni tanto qualcuno di quelli che erano venuti in montagna con noi incappava nei rastrellamenti, o in altre circostanze non molto esaltanti, e quindi erano nello stato d’animo e in condizioni di doversi guardare attorno.
Un giorno, per esempio, quando ero sopra Ornavasso ricevo un biglietto da un collega di battaglie, un amico di Omegna come me e mi dice che hanno ammazzato ad Anzola una decina o dodici ragazzi che erano una buona parte di Omegna, ed erano morti ragazzi che erano con me all’oratorio. Queste esperienze ci hanno messo nella condizione di dover affrontare, direi anche in modo fanciullesco, situazioni come, per esempio, quando una volta siamo andati a fermare un’auto blindata di fascisti, e penso anche con qualche tedesco, su una delle principali strade dell’Ossola, tendendo una fune metallica tra le due posizioni della strada; questi sono scesi e si sono messi a sparare, avevano appresso cani etc. Ne abbiamo visto un po’ di tutti i colori, poi quando mi sono voltato indietro e mi sono accorto di essere solo mi sono chiesto: che cosa devo fare? [...]. Siamo stati fatti uomini dalla sera al mattino, anche se non ricercavamo a fondo queste esigenze di una maturazione eccessiva, l’esperienza è stata quella, come interessante è stato questo grosso respiro di libertà che veniva affidato al paese.
Quando c’è stata la liberazione dell’Ossola, si è fatta la Repubblica dell’Ossola: un’isola di libertà in mezzo ad uno stato, quello italiano, che al di là delle truppe americane alleate che avanzavano dal sud verso il nord, era ancora per larga parte nel centro nord nelle mani dei nazisti e dei fascisti. In quelle circostanze c’era da pensarci su dieci volte, a quel che poteva farsi: l’idea per esempio di aver realizzato la Repubblica dell’Ossola. Non so se è stata una grossa scoperta avere di fatto creato una zona autonoma rispetto al potere centrale che allora in Italia era ancora detenuto dai nazi-fascisti; difatti questi, dopo essere stati sconfitti con la battaglia di Piedimulera, alla fine sono rientrati nell’Ossola con robustezza di forze in maniera che nessuno poteva opporsi; noi disponevamo di armi pesanti, di un paio di cannoni anticarro 4732, che erano stati presi ai tedeschi, ma nella sostanza questi non possedevano molte munizioni, per cui siamo stati costretti a buttarli via.
Mentre noi potevamo riparare, chi in Italia chi in Svizzera, la popolazione dell’Ossola è rimasta lì in balia; mia moglie ha voluto raccontare qualche cosa e l’ha fatto con serenità, ma in realtà l’ha vista veramente brutta, è stata denudata e picchiata con nervi e per tre mesi è stata conciata male nell’infermeria dei Rosminiani a Domodossola. Quest’esperienza è stata dura ma è stata un’esperienza che però ci ha irrobustito attorno a talune idee fondamentali; una per esempio è quella in cui si trattano parecchi passaggi e parecchie mostruosità della dittatura e del totalitarismo; noi pensavamo che sarebbe stato riaffidato all’Italia un respiro di libertà e dentro la libertà fosse possibile riorganizzare la nazione attraverso la Carta Costituzionale da cui poi discendono tutte le leggi.
Alcune leggi, però, non hanno avuto seguito con immediatezza; le Regioni, ad esempio, che erano previste dalla Costituzione, nacquero con una legge del 1958, quindi dieci anni dopo circa che è stata scritta la Carta Costituzionale; ma, dal ’58 che erano nate, sono nate veramente nel ’70. Infatti, la prima seduta del Consiglio Regionale l’abbiamo fatta nel maggio/giugno del 1970 e quindi nasce esattamente dodici anni dopo che ne era prevista l’organizzazione all’interno della Carta Costituzionale [...], ma quello che tengo a ricordare è che la Costituzione nasce con un accordo tra le diverse componenti di aree totalmente diverse [...]. Perciò l’aspetto fondamentale della Carta Costituzionale che presiede alla vita del popolo italiano è che nasce dalla concordia fra le componenti del sistema anche di quelle che erano alla fine totalmente spaccate. Per esempio, nell’art. 7, Togliatti , capo dei comunisti, riconobbe l’utilità de Patti Lateranensi, che erano stati scritti nel 1929 da Mussolini, quindi regime fascista, con il Vaticano [...]. Il fondamentale più robusto è che, oltre ad esserci stata la nascita della Costituzione, c’è stata anche da parte del popolo italiano l’allontanamento della monarchia [...].
L’altro aspetto è di avere tentato di dare anche alle classi meno abbienti talune occasioni di recupero e di crescita che non sono trascurabili; per esempio lo Statuto dei Lavoratori [...]. Importante è anche il tentativo di ridare alla gente, con la “politica della casa”, un’abitazione e un tetto; oggi una ricchezza parziale del popolo italiano è che una certa parte di esso ha raggiunto questo risultato, anche con sacrifici non trascurabili, per esempio il “piano Fanfani”, che consentì una larga costruzione di case popolari, è un aspetto che a mio avviso non può essere trascurato.
Altri aspetti che sono diventati importanti con la Costituzione sono stati i mutamenti anche nel campo dell’organizzazione della difesa; l’esercito che viene ad assumere, recentemente, una configurazione che non è più data dalla leva obbligatoria. Anche la riforma sanitaria è importante, la riforma dell’assistenza che è maturata solo pochi anni fa; l’assistenza italiana fino a due o tre anni fa traeva ancora le sue origini da una vecchia legge Crispi del 1890, direi che per certi aspetti dava delle risposte totali alle esigenze della persona, però inquadrata nello sviluppo della società di quell’epoca. [...]”

Vittorio Beltrami

Secondo incontro: G. Gadola - Vita G. Gadola - Intervista